Nov 28

NON SOLO REMAKE! Ripubblichiamo una conferenza del 2001 che vorremmo che si rileggesse oggi, attualizzandola alla luce degli accadimenti avvenuti in questi ultimi  nove anni! Forse l’Autore lesse in anticipo certi eventi?

Dagli atti del convegno sulla GLOBALIZZAZIONE
Organizzata dal MOVIMENTO AZZURRO
Potenza 24 novembre 2001
Intervento di Marcello Sladojevich
Consigliere Nazionale del Movimento Azzurro

Spesso il termine globalizzazione assume sapore prevalentemente negativo, così come lo era una volta il termine “capitalismo” ed è sinonimo di americanismo e di predominio occidentale. Queste due cose vengono intese come elementi che distruggono la cultura e le tradizioni locali.

Per questo gli operatori sociali, i  sindacati, i politici, gli  studiosi,  gli scienziati  debbono  cercare  di  dare  senso  ad  un  progetto  che  individui  il minimo comun denominatore di un’ “etica globale” o meglio un  “progetto per un’etica  mondiale,  prima  di  parlare  così  diffusamente  di  globalizzazione”, come ha sostenuto  lo studioso tedesco Hans Kung in un suo famoso lavoro di ricerca.

Noi  impegnati  nel  sociale,  che  ogni  giorno  ci  confrontiamo  con  i problemi  contingenti  di  una  società  in  movimento,  ma  anche  con  la compressione della persona umana, ci accorgiamo come la globalizzazione dell’economia, della tecnologia e della comunicazione, abbia reso ancor più urgente la riflessione su la necessità di un’etica mondiale. Questa generica globalizzazione  non  governata  da  valori  e  da  progetti  per  l’uomo ha  infatti generato più che mai nuove forme di una globalizzazione dei problemi. Per questo  più  che  sui  soli  problemi  spiccioli  dobbiamo  concentrarci  sulla definizione di una globalizzazione dell’etica.

In questo senso l’etica mondiale, pur non fondandosi sulla globalizzazione – necessariamente per l’etica dei  valori –  diventa di dimensione universale, cioè  abbraccia tutto, esseri viventi e cose dell’universo.

Sempre   il   sociologo   Kung ha   individuato   quattro   caratteristiche peculiari  della  globalizzazione  perché  esse  possono  essere  la  base  di  un consenso ragionevole tra sostenitori e avversari della globalizzazione.

La globalizzazione è

inevitabile, inarrestabile, irreversibile: essa è stata resa possibile dalla fine della  divisione  del  mondo  in  Est  e  Ovest  e  soprattutto  dalle  innovazioni tecnologiche;

ambivalente: con guadagni e perdite, con persone, aziende, località, nazioni e regioni che salgono e scendono;

imprevedibile: con effetti principali previsti e effetti collaterali non voluti, con miracoli e disastri economici; con prognosi economiche a lungo termine che non sono più sicure di quanto lo siano le previsioni meteorologiche a lungo termine;

–  pilotabile:  la  globalizzazione  non  è  un  fenomeno  naturale  come  un terremoto  o  come  un  fronte  temporalesco,  ma  può  essere  influenzata  e guidata,  entro  certi  limiti,  da  governi  nazionali,  banche  centrali  e  istituzioni internazionali. Di   fatto   negli   anni   passati l’IMF (Fondo   monetario internazionale), la Banca mondiale, i ministri finanziari dei paesi sviluppati (G5 poi G8, poi G10 ecc)  hanno preso in considerazione tutta una serie di misure di ordine politico che potrebbero   incidere   negativamente   in   termini   di   libertà   individuale   e comunitaria per l’uomo, per gli esseri viventi e per l’equilibrio della natura.

Per questo crediamo che il mercato globale esiga un solido contesto e ordinamento politico globale, un ordinamento-quadro, regole che il  mercato stesso  non  può  darsi  da  solo  e  che  necessitano a  sua  volta  di  un’etica globale.

Secondo  noi  il  nuovo  assetto  economico  mondiale,  la  cosiddetta  “New  economy”, è  una  “nuova  economia”  ma    non  una  nuova  “teoria economica”: diversi gli orizzonti ma stesso metodo e soprattutto manca un “piano di ripartizione” dei benefici.

Per  questo  la  nostra  epoca  ha    acuito  l’urgenza di un‘etica globale proprio  attraverso  quella  che  spesso  viene  ambiguamente detta  “New economy“, a   proposito della quale alcuni economisti si domandano dubbiosi se  sia  mai  esistita,  visto  che  è  invecchiata  tanto  rapidamente!  (Altro  che sviluppo senza fine, nella Silicon Valley, 1.500.000 disoccupati prodotti  in un semestre (ed ancor prima dell’attentato alle torri. Non ci sono scuse! NDR attuale, 2010).

Quindi  noi  riteniamo  piuttosto,  più  che  parlare  di  nuovi  metodi  ed oggetti esterni all’uomo, si debba prestare maggiore attenzione alla persona umana secondo quella missione che ogni uomo ha da svolgere sulla terra, nell’”oicos” (oicos inteso come luogo ove l’uomo-persona si trova in connessione con tutti gli altri soggetti, viventi e non, Creato), e  sarebbe  perciò  meglio  parlare  di  nuova  ecologia e  non  di nuova economia.

Non  v’è  dubbio  che  esistono  nuove  tecnologie dell’informazione e della  comunicazione, mediante le  quali  l’economia  mondiale  è  penetrata anche nei paesi meno sviluppati. Pertanto cambiamenti radicali nella forma di organizzazione  della  società,    nelle  pratiche  aziendali,  nella  produzione, quindi una nuova economia, ne sono la conseguenza, come il rischio per la natura (cose ed esseri viventi)  sono problemi attuali.

Ma queste nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, della  produzione  comportano  nuove  leggi  economiche?  Abrogano  i  vecchi principi  economici?  Conducono ad una nuova  teoria  dell’economia, a una nuova scienza economica, ad una nuova scienza della società?

Non  ci  sembra.  E  nemmeno  ci  convincono  quanti  ci  propinano  il “modello economico” di crescita economica senza inflazione e boom senza fine in borsa. Il crollo di questi ultimi mesi ne è un esempio tangibile.

Quindi non si è creata una nuova economia ma una nuova prassi del mondo economico, cioè l’economia classica non si è liberata di quegli aspetti ingannevoli  che  la  rendevano  non  pienamente  utile  al  genere  umano, piuttosto la si è geneticamente mutata per farla rimanere con gli stessi vizi: stessi difetti, nessun miglioramento pratico dal punto di vista del benessere.

Si è cercato di incentivare il consumo e non il senso del consumo correlato agli  abitanti  del  mondo,  creando  perciò  anche   rischi  latenti  per  la sicurezza ambientale.

Per  esempio  ha avuto senso  privatizzare  le  società  elettriche  con  il  solo scopo  di  metterle  sul  mercato  e  quindi,  sì  renderle  competitive  sui  costi  unitari  del  kilowattore,  ma  poi  predisporre  “trappole”  per  incrementare  i consumi energetici individuali, magari prospettando utilità artificiose? Quini più consumi per la logica del mercato… ma quanto e quale stress ambientale potrà produrre questa scellerata scelta? E poi  queste scelte giovano all’uomo?

In   tal   senso   una   risposta   emblematica ce la può dare  il costo/consumo per la comunicazione: non c’è dubbio che il costo degli scatti e delle conversazioni  telefoniche  costino  meno  di  10  anni  fa,  ma  il  costo complessivo  per  la  telefonia  di  una  famiglia  media  si  è  moltiplicato  per  5 volte e oltre!  Così  sta  per  accadere  anche  sul  fronte  dei  consumi  elettrici,  il  che comporterà  maggior  spreco  di  risorse  della  terra,  maggior  inquinamento,  maggior  povertà  per  i  paesi  terzi  e  sottosviluppati,  il  sud  del  mondo, e maggior spesa per  la middle class dei paesi ricchi. Allora quale ricchezza effettiva?

Il  modello  che  ci  viene  prospettato,  da  alcuni  sociologi-economisti americani  è  stato definito la “bubble-economy”,  l’economia  delle  bolle  di sapone. Infatti negli Stati Uniti il boom dei consumi degli anni passati ha fatto quasi azzerare il risparmio personale dei cittadini medi. Adesso il  fenomeno si  è  trasferito  nelle  vecchia  Europa.  Le  conseguenze  appaiono  già  da  ora  gravissime: aumento della povertà delle famiglie, aumento della disoccupazione, deriva autoritaria dei sistemi politici, perdita di identità delle entità statuali e perdita del senso della Pubblica Amministrazione (NDR del 2010).  La  magia  della  nuova  tecnologia  e  del  libero  mercato  ha dimostrato  la  sua  pericolosità  sociale per  le  civiltà  strutturate  come  quelle occidentali ed altrettanto disastri sociali ed economici potrebbe produrre per i paesi emergenti e poveri del sud  del mondo, a meno che non si pongano dei correttivi di tipo “etico”.

Nei  nuovi    modelli  economici,  nella  febbre  della  borsa e di uno sviluppo solo “finanziario” che  ha pervaso  anche  le    categorie  sociali  meno  dotate  di  strumenti  –  ah  quanti colleghi e amici parlano di borsa ed azioni così come una volta parlavano di sindacato,  politica,  ecologia,  ambiente,  organizzazione  e  solidarietà! – ravvisiamo un rischio grave per la “comunità” e per l’uomo, per l’”oicos”.

Infatti  la  primaria  importanza  data  al  “fine”  dell’accumulo  finanziario ha  fatto  perdere  di  vista  lo  scopo  essenziale  del  lavoro  produttivo,  quale strumento necessario per far crescere il lavoratore e la propria famiglia nel rispetto delle cose e degli esseri viventi.

Il  lavoro  dovrebbe  rimanere  ancora  oggi  un  mezzo  di  crescita  non certo un fine. I denari sono una necessità strumentale per i bisogni della persona non certo un  godimento per il solo fatto di possederli. Quindi in questo cupo scenario  dobbiamo  vigilare  perché  il  modello  di  sviluppo,  il  libero  mercato senza  regole,  non  diventi  una  trappola  mortale  per  il  mondo  inteso  come esseri viventi e cose unite da un equilibrio voluto da Dio, o comunque dal Grande Architetto.

Non  vogliamo assolutamente  veicolare  una  cultura  resistente  ai cambiamenti, non lo dobbiamo per onestà mentale, ma piuttosto vorrei  partecipare ad elaborare un metodo non una teoria, che sia di garanzia per il “mondo”.

Vogliamo partecipare a stabilire delle regole (norme di diritto positivo ma con forti riferimenti all’ius naturale) che tengano conto delle necessità del singolo, ma anche della comunità e del mondo, del più forte ma anche delle  protezioni  per  i  più  deboli: in termini  pratici per sensibilità, vocazione e per  funzione  vogliamo/dobbiamo  partecipare  ad  elaborare  una nuova,  o  meglio,  una  vera  etica  degli  affari,  visto  che  i  parametri  della vecchia morale sociale – sia questa marxista o liberista –  sono  saltati.

Per esempio nella International Herald Tribune del 21 dicembre 2000 si  leggeva  che  “le  regole  che  governano  la  globalizzazione  dovrebbero proteggere  gli  interessi  dei  poveri  e  non  solo  i  ricchi,  e  i  benefici  di  un aumentato  commercio  e  di  una  aumentata  produzione  globale  dovrebbero essere divisi tra tutti e non gravata sui più”.  Quanto era profetico questo intervento (NDR 2010)!

Quanto  riportato  era  riferito  all’opinione  condivisa  da  molti  uomini  di cultura  e  da  politici  autorevoli:  da  uomini  di  formazione  socialdemocratica europea come Tony Blair (Anthony Charles Lynton Blair detto Tony Blair, Edimburgo, 6 maggio 1953, politico britannico. È stato il primo ministro del Regno Unito dal 2 maggio 1997 al 27 giugno 2007), Wim Kok (Wim Kok Bergambacht, 29 settembre 1939, politico olandese, primo ministro per due mandati dal 22 agosto 1994 al 22 luglio 2002), Góran Persson (Hans Göran Persson, Vingåker, 20 gennaio 1949, politico svedese. È stato primo ministro della Svezia dal 22 marzo 1996 al settembre del 2006, per conto del Partito Socialdemocratico Svedese), e Gerard Schroder, (Gerhard Fritz Kurt Schröder (Mossenberg-Wöhren, 7 aprile 1944) è un politico tedesco, che ha ricoperto la carica di Cancelliere della Germania dal 1998 al 2005). ma anche conservatori come Aznar (José María Alfredo Aznar López, Madrid 25 febbraio 1953, un politico spagnolo, è stato il quarto Presidente del Governo della Spagna dopo la costituzione democratica del 1978, nella legislatura compresa fra il 5 maggio 1996 e il 17 aprile 2004) o Schússel (Wolfgang Schüssel, Vienna, 7 giugno 1945, è un politico austriaco. Ha ricoperto la carica di Cancelliere d’Austria fra il 2000 e il 2007).

Costoro hanno “parlato” della necessità, per il mondo, di una progressiva perequazione.

Vedete, lo strappo che ci fu nel 2001 – Francia, Inghilterra, Germania – durante il vertice  europeo,  con  la  messa  fuori gioco  anche  dell’esecutivo della  UE  presieduto  da  Romano  Prodi,  non  crediamo  che  volesse  essere solo un segnale per affermare un   super potere di certi Cofondatori UE, ma piuttosto lo possiamo leggere anche come  rifiuto  di  certe  scelte  meramente  liberiste  di  altri  paesi,  Italia compresa.  Scelte  magari  nascoste  da  “false  privatizzazioni”  come  il  caso ENEL,  Telecom,  Poste,  Ferrovie  e  conclamate  nella  loro  virulenza  proprio con  il  governo  italiano  retto  da  Prodi,  poi  da Dalema, poi riconfermato dal governo Berlusconi: stessi  vizi  che potrebbero minare anche lo stesso governo Berlusconi… forse Lui no! ma certamente minare la nostra solidità civile e l’unità nazionale.

Era  uno  strappo  o  un  avvertimento  a  quanti  rimandano  le  regole dell’agire al solo mercato e non all’azione moralizzatrice dell’homo faber?

In un’intervista al “El Pais” proprio Aznar parlava “della necessità di definire che cosa si debba intendere oggi per globalizzazione e stato sociale”Jospin (Lionel Jospin, 12 luglio 1937, politico francese, Primo Ministro di Francia 1997-2002) poi, a suo modo ha dato una risposta concreta in merito  a  questo  argomento e proprio  in  relazione  alla  privatizzazione dell’EDF (la  società  elettrica  francese):  “per  motivi  d’interesse  pubblico,  il libero  mercato  dell’energia  elettrica  comincia  dopo  i  cancelli  delle  centrali” Lui, al contrario del caso Italia, non ha fatto nessuna GENCO! Non ha consegnato la società elettrica nelle mani della speculazione meramente finanziaria e nelle mane di manager spregiudicati!.

Molti studiosi stanno discutendo da tempo sulla necessità della ricerca di  un  linguaggio,  o  meglio  di  un  codice  etico  condiviso  universalmente,  in merito a queste nuove teorie del libero mercato.

Dunque  se  quanto  sopra  detto  è  credibile,  sempre  più  ci  si  deve affrettare  a  dettare  delle  regole,  o  quantomeno  a  ristabilire  il  governo dell’etica più che l’autogoverno del mercato!

La  nostra  non  vuole  essere  una  posizione  precostituita  contro  la globalizzazione o il mercato, anzi, noi crediamo sia nel flusso di risorse nel globo, disponibili per tutti, e nella libera circolazione delle merci. Ma proprio perché  vediamo  i  risultati  positivi  della  globalizzazione  minacciati  dalla carenza di un “codice etico”, riteniamo nostro dovere ammonire gli operatori del sociale con le stesse parole di Kung: “Se nel corso dell’attuale processo di  globalizzazione  dovesse  imporsi  come  criterio  supremo  il  desiderio  del guadagno  e  soltanto  esso,  dovremmo  prepararci  a  conflitti  e  crisi  sociali gravi. L’attuale forza del capitale e la relativa debolezza della “politica” non dovrebbero trarci in inganno al riguardo.  Noi possiamo infatti ritenere che la società  nel  suo  insieme  non  accetterebbe  senza  alcuna  resistenza  una ricaduta  nel  liberalismo  del  XIX  secolo  e  in  un  capitalismo  puro”. Ricordo inoltre  il caso degli Stati Uniti, dove dopo il rialzo in Borsa degli anni ’20, il crollo  della  Borsa  del  1929  e  la  successiva  grande  depressione,  sotto  il presidente Franklin D. Roosevelt fu costruito, mediante il “nuovo corso” (New deal)  e  contro il  “lasciar  fare“, lo  stato  sociale  americano.

Per  questo  aderiamo a quanto sostiene il  professar  Klaus  Schwab,  fondatore  e  presidente  del Forum   dell’economia   mondiale, quando   riafferma   i   valori   dell’europea economia  sociale  di  mercato“. Egli  ritiene  tuttavia  che  finora  le  grandi iniziative  di  privatizzazione  come  anche  le  grandi  compagnie  non  abbiano dato  risposte  sufficienti  all’erosione  dei  concetti della sicurezza e della prevedibilità nella vita degli individui. D’altro lato, gli amministratori di grandi patrimoni  finanziari,  dei  fondi  pensione  e  dei  fondi  di  investimento,  hanno fatto  durante  la  crisi  finanziaria  del  Sud-Est  asiatico  l’esperienza  che  non basta mirare a grandi guadagni a breve termine.  A medio e a lungo termine sono importanti anche  la  fedeltà  contrattuale  e  l’affidabilità  dei  partners,  la  scarsa corruttibilità di una società, la solidità delle banche e il funzionamento delle  istituzioni  politiche. Tutti  questi  sono  problemi  politici  ed  etici,  i  quali mostrano che la prestazione non è realmente tutto e che una responsabilità eticamente fondata è necessaria sia per il bene comune che per l’economia e lo stato.

Pertanto chi fa ambientalismo e  politica non si  schiera  affatto semplicemente  contro la globalizzazione o le  privatizzazioni,  bensì  adotta una posizione più differenziata, più attenta e più vigile ai valori globali: non solo  denaro  e  resa  finanziaria,  produttività,  ma  senso  di  responsabilità per una società più equilibrata.

Abbiamo  dunque  bisogno  di  regole.  Questa  necessità  deve  essere sperimentata fin dal livello più basso della società.

Noi ci battiamo, ci  dobbiamo  battere,  per  un  nuovo  ordinamento  del sistema  produttivo,    economico  e    finanziario.

Le  regole.  Ci  vogliono  le regole!

Non  si  capisce  perché  il  traffico  aereo  diventato immensamente complesso e pericoloso abbia bisogno di alcune regole e controlli elementari accettati su scala mondiale, e perché l’altrettanto complessa e a suo modo pericolosa circolazione  internazionale  del  denaro,  del  mercato  del  lavoro e del commercio non ne avrebbe bisogno.

Basta parlare qui di  un’autoregolazione  del  libero  mercato  e  della produzione?  Non  crediamo  sia  sufficiente  e  nemmeno  in  tal  senso  ci sentiamo   i   soliti   “bastian   contrario”   e   contestatori   dell’attuale   nostro ordinamento politico.

A sostegno delle nostre affermazioni prendiamo spunto da un articolo apparso  nel 2000  sull’autorevole  Die  Zeit“…non  sarebbe  tempo  di realizzare   una   nuova   “architettura   finanziaria   globale”   (global   finaticial architecture),  espressione  che  anche  il  Presidente  Clinton  e  Robert  Rubin, suo ministro delle finanze, adoperarono al culmine della crisi finanziaria del sud-est asiatico e che non sta evidentemente ad indicare che, nella passata architettura della finanza internazionale, tutto sarebbe stato sbagliato?

Pure Klaus Schwab (Klaus Schwab Martin, 30 Marzo 1938, è un tedesco economista, meglio conosciuto come il fondatore e presidente esecutivo del World Economic Forum. Cofondatore con sua moglie e sua ex segretaria, Hilde, della Fondazione Schwab per l’Imprenditoria Sociale) aveva allora avanzato questa richiesta: “Abbiamo bisogno  di  regole  più  globali,  anzitutto  per  gli  investimenti  oltre  confine. Inoltre  abbiamo  bisogno  di  un’autorità  mondiale  per  l’ambiente. Il Fondo monetario  internazionale dovrebbe ulteriormente sviluppare  l’architettura della  finanza  mondiale. Inoltre un’organizzazione  internazionale  del  lavoro dovrebbe  creare  meccanismi  su  scala  mondiale  per  standard  del  lavoro.  Il problema non sta tanto negli imprenditori, quanto piuttosto negli stati.  Essi non  dovrebbero  rinunciare  solo  a  una  parte  della  loro  sovranità,  ma  anche perseguire l’attuazione di regole indirizzate all’esaltazione dell’uomo”.

Il professor EJ. Radermacher Ulm,  sostiene  che  comunque l’economia, sia mondiale che locale, come la singola azienda debba tendere “verso  uno  sviluppo  sostenibile a beneficio di tutti e  dell’ambiente  e quindi debba  intessere  un  dialogo  sociale  globale ed onnicomprensivo tra varie organizzazioni che insistono in una società”.

Anche  Václav  Havel (Václav Havel è uno scrittore, drammaturgo e politico ceco. È stato l’ultimo presidente della Cecoslovacchia ed il primo presidente della Repubblica Ceca) ci  ammonisce  “a riflettere sulla  dimensione  più importante del compito di far ridondare a beneficio di tutti le scelte comuni, vale  a  dire  la  ricerca  di  nuove  fonti,  di  un  senso  della  responsabilità  nei confronti di tutti coloro che partecipano ad un processo”.

La  globalizzazione è  o  dovrebbe  essere,  proprio  se  la  sosteniamo, molto  più  di  una  semplice  concezione  economica.

Se  vogliamo  che  la globalizzazione  dei mercati, della tecnologia e della  comunicazione,  del lavoro  sia  durevole  e  non  di  compressione  delle  realtà  fisiche  e  morali  del mondo, bisogna che i guadagni economici da essa derivanti siano perseguiti in  modo  socialmente  e  ambientalmente  sopportabile, bisogna  che  si  tenga conto di determinati standard sociali.

Non ci può essere né giustizia né ecologia, né pace senza standard sociali predefiniti. Ma per definire questi contorni ci vuole assolutamente una riflessione su  standard  etici  globali.

La globalizzazione, al fine di garantire che l’attività economica, rimanga soggetta a fini umani e sociali senza creare disastri ambientali, ha bisogno di una base politica forte, ma non autoritaria, di un forte senso dello stato e della democrazia il tutto sorretto da una solida cornice etica.

Illuminanti le parole di V. Havel: “Abbiamo bisogno di  rafforzare  la  società  civile,  la  quale    è  una  garanzia  contro  un  governo   arrogante e uno sfrenato potere del mercato. I valori sottostanti dovrebbero essere chiari – una società aperta e inclusiva, ma basata su responsabilità e su diritti

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One Response to “GLOBALIZZAZIONE POSSIBILE E SOSTENIBILE SOLO CON UN CODICE ETICO CONDIVISO ED UN FORTE SENSO DELLO STATO. NON ALL’AUTOGOVERNO DEL MERCATO”

  1. 1. mario Says:

    E’ vero fu un articolo premonitore.
    Ma ti vorrei amminire: nella vita chi riesce ad anticipare i tempi con una lettura “preveggente”,
    se ha potere diventa un riformatore formidabile come lo fu per esempio il Gran Duca di Toscana…
    ma se non si ha il “potere”, nè mezzi economici e politici, si diventa una “Cassandra”.
    Sicuramente saresti sato un ottimo amministratore ma… accontentati di essere ricordato dagli amici come un buon intellettuale e soprattutto come una persona onesta e “galantuomo”.
    Mario

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