Giu 02

Nel duplice intento di riprendere un tema a me caro e di mettere in risalto una splendida tavoletta del Fattori, presento ad un vasto pubblico l’opera “Stradina solitaria” o “Carrareccia” da me spesse volte vista in una collezione fiorentina. Questa preziosa tavoletta è validissimo e calzante esempio del credo macchiaiolo di voler dipingere solamente per il puro piacere, senza fini etici didattici e col solo intento di rendere al meglio, attraverso il colore, l’impressione naturalistica ricevuta, a prescindere dal soggetto. Infatti, pochi sono i temi di disarmante ed anonima semplicità come questa stradicciola, una delle tante che si inerpicano su per i colli fiorentini e che, ancor oggi, sebbene in numero ridotto, possiamo vedere e percorrere appena ci lasciamo alle spalle le ultime case della città.

Purtroppo, nonostante i miei sforzi, non sono riuscito ad identificare questa strada, forse andata distrutta nell’espandersi della città o inglobata in un asse viario di più grande comunicazione.

Questa opera è dipinta su una tavoletta ricavata dal coperchio della scatola dei sigari Habana, sigari fumati dal Fattori e da lui riutilizzata per dipingere; un vero riciclaggio ante litteram dettato più dai pochi soldi che da una coscienza ecologica ancora tutta da definire, come ebbi modo di segnale già in The Professional Competence qualche tempo fa in “Lettura storico ambientalista attraverso la pittura toscana dell’Ottocento”.

Molto probabilmente l’opera è stata eseguita fra il 1868 ed il 1870, datata e argomentata da studiosi fattoriani quali Dario Durbè e Vittorio Quercioli ed è una delle primissime idee per un tema che riprenderà in modo più articolato ed ampio negli anni 1875 – 1890.

Ma in tutta franchezza, per me, quest’opera, meno dispersiva e più accentrata sul motivo, ha un sapore tutto particolare perché ci rivela una dote somma, quanto poco conosciuta dell’artista e cioè quella di dare peso ed importanza a cose usuali e quotidiane da molti neanche notate.
Opera di semplice soggetto ma non altrettanto di esecuzione; infatti nella tavoletta si può apprezzare una grande sapienza compositiva dove si rivela al meglio tutta la metrica fattorina, efficace soprattutto negli spazi brevi.

L’occhio è guidato dalle due direttrici: il muro e il ciglione dentro il breve percorso, in leggera salita, della strada, fino a dove svolta. L’occhio è guidato dalle due direttrici: il muro e il ciglione dentro il breve percorso, in leggera salita, della strada, fino a dove svolta, quindi raffrena impattando morbidamente in una quinta di vegetazione a più piani, scalati leggermente in profondità.

Opera austera dove contano solamente le infinite variazioni tonali del verde ed anche l’azzurro pallido dell’occhio di cielo che fa capolino fra la vegetazione è tenuto sotto tono. Tutto è sommesso e misurato, sprofondato in una quiete e in un silenzio così percettibili che sfociano in quella sorta di sospensione atemporale già riscontrata in altre riuscite opere del Fattori.  Anche fra gli avana scuri del muro, i bianchi della strada ed i verdi cupi del ciglione in primo piano sono ben raccontati,  mentre il colore si schiarisce in profondità in una sorta di prospettiva cromatica.  Altro contrasto è generato dai bruni dei tronchi degli alberi che scandiscono lo spazio e dal verde delle loro chiome. Il pigmento pittorico è “magro” ed in varie parti dell’opera lascia intravedere il supporto ligneo. Importante è l’andamento della pennellata che costruisce il muro con piccoli tocchi verticali mentre si fa più ampia e sinuosa nel definire la strada e crea l’erba ai piedi del muro con pennellate oblique che hanno il duplice compito e di modanatura e di raccordo fra la verticalità del muro e l’andamento orizzontale della strada. Belle infine le chiome degli alberi vaporose e indefinite, come si direbbe oggi “alla Rosai”, artista che guardò al Fattori in maniera più consistente di quanto non si dica e si scriva.

Questa stessa opera a parti invertite è ripresa in una bella acquaforte che ne  diviene così la sua specchiatura, le altre varianti sono un cielo più ampio ed una figura di viandante.

Il modo di riprendere e di rielaborare temi a lui cari è tipico del Fattori grafico, attento non tanto al soggetto, quanto al segno che costruisce e struttura l’opera; un segno che sostituisce il colore e imprime nuova linfa e vigore alla
sua metrica. Con queste opere grafiche Giovanni Fattori si allinea alla ricerca artistica più avanzata a livello europeo, nell’ultimo ventennio del secolo.

Notare come è costruito il cielo nell’acquaforte qui riprodotta, dove un segno fitto si ammatassa a voler rendere l’idea del movimento di nuvole e d’aria. Sono queste soluzioni che rendono il Fattori uno dei più grandi acquafortisti di ogni epoca.

written by Enrico Guarnieri \\ tags: , , ,


Leave a Reply