Giu 26

PRESENTAZIONE all’ABSTRACT  “UN MONUMENTO LUNGO OLTRO 100 KM: Progetto di riorganizzazione per la rete storica della Ferrovia Sangritana ai fini turistici e di TPL” di Giacomo Filippini

L’ABSTRACT edito da The Professional Competence è disponibile gratuitamente in formato elettronico su richiesta. Si prega di contattare la redazione per informazioni.
Il perché The Professional Competence ha sposato la causa Filippini: difesa e conservazione dei rotabili storici. Storicamente la mobilità delle cose e delle persone è da considerarsi come valore aggiunto per lo sviluppo sociale, economico ed anche scientifico: con la mobilità sono circolate merci, uomini, nuove idee.

Proprio per questo già le civiltà più antiche hanno investito in mobilità con denari pubblici considerando la possibilità di muoversi come valore aggiunto per la società stessa: pensiamo alle reti stradali, alle reti marittime, repubblicane prima ed imperiali poi della civiltà romana.
In epoche più recenti, soprattutto con l’avvento degli stati unitari, diciamo in epoca “moderna”,
la mobilità è diventata di approccio pubblico essenziale come valore aggiunto per l’intera comunità; le reti di comunicazione erano strumento irrinunciabile per lo sviluppo programmato ed il controllo sociale: inizialmente con strade e quindi in epoca molto più recente anche con la viabilità ferrata.
Da sempre la legislazione che si occupa di viabilità, mobilità e comunicazione è di ridotta previsione “civilistica” mentre prevalente è la normativa di diritto pubblico. Vi è di più, alla cosiddetta viabilità e strade si è dato rilevanza demaniale.
Quindi non si può negare che la mobilità sia un fattore di interesse pubblico.
Solo in epoche più recenti, soprattutto a metà degli anni ’60 del secolo scorso, cioè in pieno sviluppo economico post bellico, soprattutto in una certa Europa si è cominciato a privilegiare la mobilità del singolo, considerando la possibilità di muoversi solo come opzione del singolo cittadino. Con questa nuova teorizzazione di fatto si è perso o si è voluto tralasciare il valore economico, sociale e strategico della mobilità.
Piano piano, anche in Italia, siamo passati da una prevalente opzione pubblica della proprietà e della gestione della mobilità, Alitalia per la mobilità aerea, Ferrovie dello Stato per la mobilità ferrata, Anas, o Iri/autostrade per la mobilità stradale strictu sensu, ad una teorizzazione secondo la quale la mobilità possa essere un fattore meramente privato e comunque da opzionare solo in relazione ad esigenze singole. Quindi si è proceduto a privatizzare tutto quanto di pubblico si riscontrava nella mobilità. Il passaggio successivo è stato quello di valutare la gestione della mobilità solo secondo l’aspetto “privatistico” e quindi seguendo il mero conto economico: questa strada mi rende… questa mobilità mi costa… se il rapporto costi incassi è negativo quell’oggetto di mobilità è da dismettere.
Insomma sono scoparsi nei processi di valutazione quei parametri che sopra ho citato come essenziali nel giustificare un “interesse pubblico” sulla questione mobilità. Di fatto siamo caduti in un contesto di “crisi”. Ma se vogliamo affrontare il problema correttamente non ci dobbiamo domandare quanto costa una gestione ma quali vantaggi complessivi una certa attività procura ad un contesto sociale.
Allora la domanda da porsi è quale crisi di fatto oggi affligge il mondo della mobilità. Credo sia una domanda, anche se elementare, necessaria. E’ un bel dire che ora siamo in periodo di crisi, ma necessariamente dobbiamo capire di che tipo di crisi si parla se vogliamo trovare i rimedi.
Si ha l’impressione che in questo contesto manchi la percezione del “senso”, ossia si ha la sensazione che manchi un’assunzione di responsabilità e quindi si fa quello che tutti fanno, si fa quello che le lobbyes ci dicono di fare… insomma non siamo in grado di elaborare un percorso nuovo che potrebbe essere anche quello di saper correttamente conservare in stato di efficiente funzionalità sociale quello che già esiste! Il lavoro di Giacomo Filippini che pubblichiamo in The Professional Competence va in questa innovativa direzione.
Se valutiamo solo il conto economico e non consideriamo come valore aggiunto e di sviluppo gli investimenti “di vantaggio sociale” potremmo fare lo stesso errore che si è fatto fino ad oggi nel dare una prevalenza ai parametri del PIL senza considerare come valore aggiunto certi standards sociali: questa discrasia è una questione che si è posta all’attenzione degli economisti già da tempo e comunque anche il nostro stesso Ministro Tremonti ha cominciato ad accettare. Per esempio la ferrovia porrettana, come già ampiamente ha esposto Giacomo Filippini nel nostro numero del dicembre 2010, se è in perdita secondo il conto economico ma rende liberi di circolare gli abitanti del comprensorio crea di per se valore aggiunto. Se poi vogliamo far quadrare anche i conti non si tratta di tagliare ma piuttosto di incrementare… progettare sviluppo, adeguare ai tempi la funzione di quel determinato comprensorio facendolo evolvere da statico a dinamico, insomma spingendolo a divenire distretto socio-economico attivo. Se, come sostiene il sociologo Lipset, lo sviluppo economico è una precondizione per la promozione e l’ampliamento dei diritti, paradossalmente potrebbe accadere che chiudendo una determinata tratta ferroviaria si impedirà lo sviluppo economico ed al contempo si comprimerà la pretesa di democrazia e libertà di quella popolazione come appunto sostiene anche Amartya Sen secondo cui “la democrazia è precondizione dello sviluppo, soprattutto in una prospettiva a medio e lungo termine. La vera crescita economica cede il posto all’espansione delle libertà reali di tutti come vero fine e misura dello sviluppo, conseguentemente cambia la valutazione della legislazione sociale come vincolo o opportunità…”. Allora, tanto per tornare a noi, se non si affronta la questione delle reti secondo anche altri parametri, e non solo secondo quello del costo, rischiamo di non risparmiare e di non creare sviluppo “…riteniamo che una visione del problema imperniata sul concetto di sviluppo umano integrale possa risultare più feconda per il nostro Paese, permettendoci di associare alla ricchezza economica variabili come la qualità della vita, la tutela delle relazioni umane, in particolare nell’ambito della famiglia, l’ambiente, la partecipazione alla vita politica, le opportunità di realizzazione delle potenzialità umane di tutti i cittadini…” così anche Giacomo Costa, Direttore di Studi Sociali.
Dunque, senza esporre rammarichi o gridare che “era meglio quando si stava peggio”, mi associo al pragmatismo di tecnico di Giacomo Filippini e quindi come lui sostengo che oggi dobbiamo interrogarci non sul valore economico aggiunto immediato che dà un’attività ma piuttosto dobbiamo riparametrare i nostri ragionamenti sul “senso” che una determinata attività ha.
Inoltre, il ridimensionare o il sopprimere addirittura alcune tratte, poiché il nostro sistema è a rete, mentre immediatamente dà ristoro al bilancio di fatto squilibra una rete… se poi una rete insiste su un sistema e su di un territorio il dissesto non investe il solo sistema/rete ma quello stesso comprensorio. Insomma ravviso una sorta di miopia economica e sociale soprattutto nella gestione di certe tratte ferroviarie. La proposta di Filippini potrebbe essere una strada per percorribile verso il nuovo valorizzando lo storico (non il vecchio!).
Esiste poi anche un fattore “globale” da non sottovalutare: il nostro sistema di comunicazione oggi è interconnesso con reti più complesse, quelle europee per esempio, quindi tagliare un collegamento in una certa periferia di una sperduta regione italiana potrebbe dire allontanare quella popolazione dai sistemi comunicativi più complessi, per esempio tagliare la Porrettana o la Sangritana vuol dire allontanare quelle popolazioni non solo da Pistoia o da Chieti… ma soprattutto da Parigi, da Berlino, da Madrid! Ma Porretta e Val di Sangro sono in Italia… in fin dei conti chi si allontana è l’Italia tutta!
Però mi rendo conto che un fatto è accertare un tendenza anche disastrosa ed un fatto è arrestare la nuova moda con un dietro front. Dunque credo che, siccome ho voluto porre la questione di come dare un “un senso” ad ogni funzione di attività umana, vorrei sperare anche si possa dare “un senso plausibile” perché le reti di comunicazione esistenti non siano irrimediabilmente smantellate.
E sia: una buona volta, seguendo gli ideali, facciamo qualcosa di utile e non solo quello che conviene!

Il direttore Marcello Sladojevich

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