Dic 10

di Enrico Guarnieri

Il 10/12/2011 alle ore 16, presso i locali attigui alla chiesa di San Donato in Polverosa, Via di Novoli 31, a Firenze, si aprirà una collettiva artistica dal titolo “L’Arte per L’Arte”, concetto enunciato da Theophile Gautier (nella foto ndr) alla metà dell’ottocento e ribadito successivamente anche da Oscar Wilde.

Con ciò si proclamava l’indipendenza delle arti da vincoli posti da committenza e da moralismi vari vale a dire che l’artista si doveva esprimere nel suo pieno ed autonomo sentire.

Questa teoria, cavallo di battaglia, del Romanticismo portò allo sviluppo del Realismo di Courbet, al quale si accodarono, poco dopo, gli Impressionisti e i nostri Macchiaioli. Però, a questo concetto molto importante, che ha contribuito a rivoluzionare le arti fra la metà dell’Ottocento ed i primi del Novecento abbiamo dato un diverso significato perché nel nostro contesto “l’arte per l’arte” assume un significato più letterale e vuole esprimere il contributo degli artisti al restauro di un’opera d’arte: la chiesa di San Donato.

Perciò ringrazio i pittor, gli scultori ed il “Comitato Archivio Artistico Documentario Gierut” che con grande slancio, dietro mia richiesta, hanno generosamente donato le loro opere per un fine benefico.

Ho definito la chiesa di San Donato un luogo d’arte e mai termine è stato più calzante perché l’edificio è quel San Donato alla Torre, poi in Polverosa già citato nel 1100 come ospedale per l’accoglienza ai pellegrini e successivamente trasformato in convento abitato dai monaci Agostiniani prima, dai frati Umiliati poi e successivamente dalle monache Agostiniane. Quindi un luogo dalla lunga storia, inglobato agli inizi dell’Ottocento nella villa fatta costruire dai Principi Demidoff, dove non assunsero stato di cappella gentilizia ma venne sconsacrato e trasformato in biblioteca. 
Alla metà dell’Ottocento, Anatolio Demidoff (nella foto ndr) aprì agli artisti fiorentini, quindi anche ai futuri Macchiaioli, le porte della propria villa, che al suo interno, oltre a mobili e suppellettili di grande pregio e valore, comprendeva un gruppo di quadri del Quattrocento italiano, una selezione di opere del Seicento olandese ed una raccolta di pittura contemporanea francese fra le più avanzate e complete, a livello europeo, fra cui spiccavano capolavori di: Ingres, Delacroix, Décamps, Corot, Millet, Granet, Raffet, Meissonnier, Delaroche e tutti i Barbizonniers. Perciò questo luogo è permeato di storia e di arte, anche se addolora la scheletrica decadenza dei resti della villa ora in recupero edilizio, sperando, senza fine speculativo, come invece è avvenuto per la totale distruzione del suo bellissimo parco.

Ma la chiesa di stile Romanico, benché rimaneggiata nel corso dei secoli, vale una visita perché nel suo interno sono conservati degli affreschi strappati di Rossello Iacopo Franchi, di Cenni Francesco di Sercenni e del pittore ottocentesco Gaetano Bianchi, due tempere su tavola, una di Raffaellino del Garbo raffigurante una Annunciazione, l’altra una Madonna col Bambino di scuola botticelliana.

Pertanto, come una reiterazione, in questo luogo che ha conosciuto tante vicende storico-artistiche, eccoci a dare il nostro piccolo contributo con una mostra che in parte si prefigge lo scopo di preservarlo e che dovrebbe servire come esempio per un più generale ed esteso recupero dell’arte sacra, messa parzialmente in crisi nel corso dell’Ottocento e del Novecento, anche se, ad onor del vero, si è espressa ad alti livelli ma non in maniera costante e convinta.

Ciò che è mancato, secondo me, in questi ultimi decenni e che si dovrebbe ricreare, è una nuova sinergia che si concretizzi in una proficua collaborazione svincolata da dettami ed idee pregresse, in quanto attualmente non si può più intendere l’arte sacra come era concepita dal Duecento al Settecento nonostante in questi secoli abbia avuto una costante evoluzione raggiungendo livelli irripetibili. Si devono perciò trovare nuovi sviluppi e sbocchi che sappiano coniugare figurativo e astratto, perché si può benissimo esprimere l’immagine di Dio anche attraverso un’opera informale, per esempio si osservino alcune opere di Afro Basaldella dove si coglie un lirismo che sfiora la spiritualità.

Si dovrebbe ritrovare quello spirito che portò Giotto a rivoluzionare i canoni dell’immagine affrancandola dalla ferma e ieratica fissità bizantina, creando quei presupposti che in breve tempo portarono ad un totale cambiamento dell’iconografia sacra che piano, piano fu accettata anche dalle frange cattoliche più conservatrici divenendo patrimonio comune e condiviso.

Dobbiamo prendere atto che soprattutto nel Novecento l’evoluzione filosofica del pensiero si è nettamente distaccata da quella che può essere chiamata filosofia classica, forse anche a causa degli orrori di due guerre mondiali passate tragicamente sopra la pelle di tutto un continente.

Non voglio affermare la supremazia di un pensiero filosofico sugli altri, ma solamente rimarcare la sua profonda diversità perciò, secondo me, si dovrebbe riassettare il concetto di arte sacra avvalendosi del determinate e necessario contributo della Chiesa.

Non dobbiamo perdere  l’occasione di portare avanti un rinnovamento che in diverse occasioni si è già manifestato e che in primis  gioverebbe moltissimo proprio alla Chiesa perché le permetterebbe di evidenziare la sua volontà di cambiamento e la sua intenzione di stare vicino al sentire contemporaneo delle persone.

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