Mar 30

Una lettura comparativa fra poesia e pittura

A chiunque si addentri nello studio della pittura Macchiaiola balza subito all’occhio lo scarso supporto critico letterario favorevole a questa avanguardia artistica. Infatti la “critica militante Macchiaiola” era composta esclusivamente da coloro che ne erano stati anche i teorici e questo fatto portò il movimento, nel volgere di pochi anni, ad una progressiva sterilità tecnico-compositiva che, a mio giudizio, sarebbe stata evitabile solamente attraverso un confronto ampio e profondo con le altre realtà artistiche italiane.

In pratica i Macchiaioli, dopo l’iniziale spinta polemica ed innovativa, mancando loro il confronto con il mondo della cultura in genere, non furono in grado di portare avanti con lo stesso vigore e la stessa genialità le successive soluzioni formali e stilistiche che si imponevano loro, affidando ai soli Telemaco Signorini, Adriano Cecioni e Diego Martelli il compito di fare evolvere il movimento. Evoluzione che molto probabilmente li avrebbe portati a confrontarsi ed a misurarsi con le altre avanguardie europee aprendo così la strada alle nuove generazioni artistiche italiane. Mancò qualcosa… accade qualcosa di inspiegabile, infatti nel sodalizio non mancava una “visone globale”, per esempio il Martelli, mente critica acutissima, aperto al confronto ed alla sperimentazione, sempre curioso, era in costante contatto con i pittori italiani residenti a Parigi e con diversi letterati ed artisti francesi, fra i quali alcuni impressionisti, movimento del quale capì, fra i primi in Europa, l’importanza rivoluzionaria: questo anelito non fu sufficiente!

Va anche detto che al Caffè Michelangelo (storico caffè, centro di incontri di intellettuali ed artisti allora situato in via Cavour a Firenze ndr) non mancarono né le discussioni artistiche né il creativo apporto di pittori e scultori italiani perché gli avvenimenti politici del 1848/49 ebbero, fra l’altro, il pregio di far circolare nella nostra penisola molti ingegni e di favorire gli interscambi politici e culturali fra le varie realtà locali.

Quello che invece mancò nel periodo che va dal 1848 al ‘60 fu la coesione “intellettiva” fra pensatori e letterati di grande spessore e gli esponenti del mondo artistico, proprio nel momento cruciale della gestazione Macchiaiola, unione che sicuramente avrebbe dato esiti incalcolabili ma certamente di straordinaria portata.

Eppure nell’Italia pre-unitaria c’era una sostanziale convergenza sugli ideali comuni, seppur con diversi distinguo di metodo, di gran parte dell’intellighenzia nazionale e di alcuni esponenti più illuminati della nobiltà e della borghesia, i quali vedevano nella lotta allo straniero l’unica possibilità per affrancarsi da un giogo secolare divenuto insopportabile e tanto per citarne alcuni: Giuseppe Mazzini, Alessandro Manzoni, Giuseppe Verdi, Ippolito Nievo, Gino Capponi, Giampiero Viesseux, Giosuè Carducci e molti altri ancora.

Tutti questi uomini di cultura che avevano dato un contributo fondamentale nel formare le coscienze libertarie nazionali, lo avevano fatto esprimendosi nell’ambito del movimento neoclassico e romantico, molto distante dal realismo Macchiaiolo e perciò di difficile comunicazione con quest’ultimo; o chi, come Luigi Capuana e Giovanni Verga, anche se residenti per un certo periodo a Firenze, nonostante fossero gli esponenti principali del Verismo (movimento più in sintonia di altri con la poetica Macchiaiola) non poterono contribuire alla sua definizione, molto probabilmente, per ragioni anche anagrafiche. Così come per la Scapigliatura, altra importantissima espressione artistico-letteraria milanese, formatosi intorno al 1870, anno in cui con la morte di Virginia Batelli e la conseguente fuga del Lega da Piacentina, si fa comunemente finire l’esperienza collettiva dei Nostri pittori. Inoltre non dobbiamo neanche meravigliarci della scarsa sinergia che i vari movimenti e correnti artistiche italiane ebbero fra loro, in quanto tutto ciò fu il frutto, più che dell’incomunicabilità dei vari stili, della lunga frammentazione politica.

Infatti ogni scuola artistica nazionale divenne, dopo l’unificazione, scuola regionale, conservando ognuna, gelosamente, i propri indirizzi filosofici, estetici e formali, e poiché in questo “regionalismo marcato” albergava la convinzione gratuita di una certa superiorità del proprio credo ed attribuendosi, ogni scuola, l’ambizioso progetto di diventare guida e faro di tutta la Nazione, il declino fu inesorabile in un periodo ove ogni evento, altrove, diventava sempre più universale.

Ad onor del vero tentativi di contatti fra i vari movimenti ci furono, e per la verità la cronaca ne attesta molti, ma non riuscirono a plasmare un indirizzo unico o quantomeno sinergico, per cui ogni fazione rimase arroccata sulle proprie posizioni. Ma non fu un fatto casuale che investì l’arte e la cultura in genere, infatti con lo stesso spirito furono affrontati dalla nascente Nazione i problemi politici e i vari disinganni post-unitari il tutto rallentato proprio dai molti egoismi locali e settari: mancarono la visione unitaria dei rimedi e la solidarietà regionale (ma è un male che si ripete spesso nella storia italiana ndr).

Gran parte degli stessi problemi ce li trasciniamo ancora oggi e ciò la dice tutta sui tempi lunghi, necessari a formare una coscienza nazionale… ! Quindi si può affermare che la Macchia ebbe scarso seguito perché fu un “incunabolo” anomalo nella cultura italiana dell’epoca e da sola non riuscì a gettare solide basi per le generazioni artistiche future, salvo alcuni sporadici casi. Quello che mancò fu la completa consapevolezza di avere imboccato una strada straordinaria che si poteva aprire a tutte le applicazioni artistiche.

Per tutti questi motivi è impossibile fare delle ipotesi su come avrebbero potuto svilupparsi tutte le altre arti: non si conosce, per esempio, nessun componimento musicale dell’epoca che anche vagamente si possa avvicinare a questa weltanschauung, né alcun romanzo ci risulta sia accostabile all’arte Macchiaiola. Pur tuttavia vorrei “sperimentare” come sarebbe stata la poesia di Macchia dando un’”interpretazione ampia” a dei  versi del Carducci e del Pascoli, solo un tentativo di accostamento alla pittura Macchialiol, in particolare all’opera pittorica di colui che forse fu il più grande interprete Macchaiaolo: Giovanni Fattori.

Autoritratto 1984, collezione privata tratta dal volume Autoritratto (1894) collezione privata dal volume  “Giovanni Fattori Dipinti”-Artificio SRL

 

Vorrei essere più preciso in materia di letteratura, prima di addentrami nella lettura specifica delle poesie, citando qualche improbabile accostamento che alcuni hanno voluto fare fra letteratura e pittura Macchialiola, per esempio hanno voluto vedere alcuni scritti di Renato Fucini molto ispirati ai Macchialioli, ma probabilmente è un accostamento incongruo, forse indotto dal fatto che il Fucini fu molto amico e anche mecenate del Fattori, ma per la verità le sue opere letterarie erano molto diverse nell’approccio al reale: vi è sicuramente una carenza lirica, talvolta fin troppo vernacolari e palesemente drammatiche.

Foto del giovane Giosuè Carducci Foto del giovane Giosuè Carducci

Devo precisare che non voglio addentrami in questi meandri inesplorati, e forse non sostenibili se non con delle forzature storiche, vorrei invece attenermi al progetto iniziale, ben consapevole però che tutto ciò potrebbe essere giudicato arbitrario o quantomeno temerario, ma non è mia intenzione analizzare le poesie del Carducci e del Pascoli secondo un metodo strettamente filologico, mentre vorrei confrontare i contenuti e le immagini pittoriche-poetiche alla ricerca di indizi di un “idem sentire”: un modo di esplorare di come sarebbe stata una “poesia Macchiaiola”.

Ritratto di Giosuè Carducci Ritratto di Giovanni Pascoli

Non è un caso poi che siano stati scelti proprio Carducci e Pascoli, i due letterati e poeti sono contemporanei ai Macchiaioli e figli della stessa epopea risorgimentale per cui fra i due c’è soluzione di continuità tale da assicurare l’abbraccio di un’epoca: il Pascoli, con le sue opere, inizia da dove finisce il messaggio carducciano; la stessa soluzione di continuità mancò ai Macchialioli, ma comunque, se vogliamo, c’è una storia speculare, un “dna” latente e condiviso, proprio di un’epoca fra il Carducci, Pascoli e Fattori dove nelle loro opere leggiamo al primo posto l’uomo e la sua tragedia esistenziale, anche se nel “livornese”, proprio per inverare lo spirito libero dei labronici, queste tematiche sono meno esplicite ed la descrizione di questo dramma talvolta va ricercato negli elementi simbolici celati all’interno delle opere. Il Carducci poi condivide con Fattori l’amore per le terre maremmane, entrambi frequentavano stessi amici, come dimostra la poesia “La madre” che venne composta per onorare una scultura di Adriano Cecioni dallo stesso titolo.

Fattori, alla stessa maniera di Pascoli, riserva una particolare attenzione alla natura, al mondo popolare e contadino, guardando con occhi di fanciullo al mistero che circonda questo stesso mondo e scoprendo senza sovrastrutture culturali la poetica delle piccole cose attraverso le quali si giunge ad intuire la realtà: Pascoli descrive eventi “pennellando” mirabili pieces della “natura”, Fattori dipinge le cose più umili con alto volo poetico.

A questo punto credo sia necessaria una pur minima definizione di Macchia”, termine molto spesso abusato per definire una qualsiasi espressione “paesistica”: in effetti è una tecnica pittorica che consiste nell’annotare, generalmente su una tavoletta di legno, mediante tarsie di colore poste più o meno velocemente, gli elementi principali di una visione senza inutili descrittivismi e senza volere affidare all’opera messaggi ideologici. E’ tutto qui: la macchia non è nient’altro e non ha bisogno di nessun artifizio cervellotico per essere definita.

Se andiamo in re, un esempio calzante di come avrebbe potuto essere una poesia Macchiaiola, è rappresentato dalle prime otto strofe di “Piemonte” del Carducci, dove il poeta in poche e scarne strofe rende in maniera completa l’idea del paesaggio descritto, mostrandocelo in tutta la sua grandiosa bellezza, riuscendo a penetrarlo nella sua vera essenza ed usando i versi come sintetiche pennellate descrittive così immediate tali da renderci partecipi della sua emozione alla Natura.

Le Macchiaiole

“Le Macchiaiole” 1865, collezione privata tratta dal volume  “Giovanni Fattori Dipinti”, Artificio SRL

PIEMONTE

Su le dentate scintillanti vette

salta il camoscio, tuona la valanga

da’ ghiacci immani rotolando per le

selve croscianti:

ma da i silenzi de l’effuso azzurro

esce nel sole l’aquila, e distende

in tarde ruote digradanti il nero

volo solenne.

Ovviamente la poesia, in tutta la sua estensione, di naturalistico non ha che questi pochi versi, di fatto non doveva essere altro che l’esaltazione epica del popolo piemontese, il commosso ricordo di Carlo Alberto di Savoia e la glorificazione dei martiri piemontesi per la libertà, però queste due quartine sono molto significative e senz’altro utili all’economia della nostra ricerca.

written by Enrico Guarnieri \\ tags: , , ,


2 Responses to ““Macchie” di poesia – prima parte”

  1. 1. p. romano Says:

    il ritratto riportato si riferisce a giovanni pascoli, non a giosue carducci

  2. 2. Elena Sladojevich Says:

    La ringraziamo della segnalazione della svista, che abbiamo provveduto a correggere.

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